Storia di una donna

Il reparto era caratterizzato da cinica promiscuità : ginecologia e ostetricia. In mezzo, a dividere, la nursery. Lei era dalla parte sbagliata: ginecologia.
Domani l’avrebbero operata. Le avrebbero tolto quell’utero che negli ultimi mesi piangeva troppe lacrime di sangue. “Metrorragie “, era il termine scientifico. Il ginecologo sosteneva che la causa del pianto uterino fosse un voluminoso fibroma. “Grande come la testa di un bambino” Gliel’avrebbero tolta, la testa del bambino . E anche il bambino dalla testa. L’avrebbero castrata. “Alla sua età, signora, conviene levarlo, quest’utero che non serve più a nulla e dà solo fastidi.” Il dottore era laureato in medicina, ma sicuramente gli difettava la specializzazione in psicologia. “Non serve più a nulla”. Serviva a farla sentire una donna, per esempio. Si sarebbe tenuta volentieri sia i fastidi sia l’utero.
Rivide se stessa più giovane e più incosciente di trent’anni, sdraiata su un lettino come quello dove aveva recentemente ascoltato la condanna della sua femminilità.
“ Non voglio tenerlo”.
L’uomo in camice bianco le aveva detto che c’era un intruso nel suo ventre, che stava crescendo. “Le confermo che è gravida”.
“Gravida di problemi” aveva pensato lei. Era senza lavoro, senza soldi e senza uno straccio di fidanzato. E ora pure quel guaio incombente. “ Non voglio tenerlo”.
Era tornata in quello stesso reparto , allora nell’ala “ostetricia”. Finito il raschiamento, l’avevano rispedita in stanza con una giovane puerpera trionfante. Mentre smaltiva i rimorsi per il bambino che aveva buttato via, vedeva un’altra donna baciata dalla fortuna dell’amore cullarne il frutto roseo e paffuto, circondata dalle premure del marito e di affettuosi parenti. Aveva pianto silenziosamente, la notte, quando la compagna di letto dormiva con un sorriso beato stampato sul viso, e il mattino dopo aveva lasciato il reparto come una ladra, senza salutare.
Quando aveva sposato Fabio, aveva creduto di poter rimediare a tutti gli errori del passato.
Si amavano; avrebbero fatto una famiglia normale. I bambini non arrivarono subito, ma non si allarmarono. Si bastavano l’un l’altro. Erano felici del tempo trascorso insieme, dei viaggi avventurosi in posti lontani, della casa che andavano abbellendo di arredi preziosi . Uscivano, lavoravano, avevano tanti amici.
Dopo sei anni di matrimonio, si amavano ancora come il primo giorno.
La parabola discendente iniziò con le feste per i battesimi dei figli degli altri.
“Quando potrò farti da madrina anch’io? “ le chiedeva l’amica di turno.
Sorrideva evasiva. “ C’è tempo. Abbiamo tanto da fare, in questo periodo. Sai, il lavoro…”
Cominciarono ad emarginarli. La loro casa era troppo silenziosa ed ordinata, il loro giardino troppo curato, con l’erba ben pettinata. Fabio comprò un cane, e gli prese una cuccia gigantesca.
“Quando nascerà il nostro piccolo, avrà un cucciolo con cui giocare.” le disse suo marito. Lei seppe che mentiva, ma lo baciò riconoscente.
Per lungo tempo non parlarono di quella mancanza. Facevano l’amore come sempre, con la stessa tenera passionalità dei primi tempi. Ma Antonella cominciò a guardare il calendario, con finta noncuranza. E la notte scrutava il cielo cercando la luna. Dopo l’amore, aveva preso l’abitudine di trattenere Fabio dentro di sé per lunghi minuti. Poi fingeva di addormentarsi, per non andare in bagno a lavare il suo seme prezioso, e trascorreva la notte a cosce serrate, trattenendo il respiro.
Un giorno capì che era successo qualcosa. Sentì il suo ventre tendersi sotto l’ondata di una crescita dolorosa e inaspettata. Era certa di essere rimasta incinta. C’erano stati numerosi segni premonitori: la luna piena in una notte estiva di rara luminosità, un sogno pieno di paesaggi marini, e il figlio di un’amica che le aveva dato un bacio spontaneo di riconoscimento. Era una mamma, ne era sicura. Sarebbe stata mamma. Quando fece il test, a casa, le tremavano le mani. Pisciò fuori dallo stick, per l’emozione. Consumò tre kit di Predictor. Vide la croce sul tampone e lo mise in borsa, ancora incredula. Voleva correre da Fabio in ufficio, per dirglielo subito. Uscì dal garage in retromarcia come una pazza, e sfasciò il paraurti posteriore contro il faretto del vialetto d’ingresso.
A Fabio disse: “Ho una cattiva notizia da darti, e una buona”. Lui le disse che avrebbe fatto pagare la fattura del carrozziere a loro figlio, quando sarebbe stato maggiorenne.
Furono folli di felicità per quattro settimane. Dopo un mese , Antonella tornò in ospedale per il secondo raschiamento della sua vita. Fu un dolore lancinante come una pugnalata a comunicarle la perdita. Quando domandò del germoglio ch’era stato il suo bambino le dissero di scordarselo. Non avevano trovato nulla. Si era disintegrato come sotto l’effetto di una bomba atomica.
Lei capì che lo sperma di Fabio era avvelenato, e cominciò a odiarlo, in segreto. Gli disse che non voleva più provare a seminare dentro di sé piante che non potevano dar frutti. Gli chiese di avviare le pratiche per l’adozione. Lui fu insolitamente remissivo e accondiscendente. Si sentiva in colpa verso di lei, era evidente.
Cominciarono le sedute dagli psicologi. Li interrogavano ferocemente sulle motivazioni dell’adozione.
“ Perché volete adottare un bambino? “ chiesero loro. La risposta di Fabio fu sincera e sgradita. “Perché non siamo riusciti a farne uno noi “. Li sgridarono. Singolarmente e in coppia. Dissero che avrebbero dovuto sottoporsi a una psicoterapia lunga e difficile. Accettarono: non avevano scelta. Cominciò l’analisi sulla loro vita di coppia. E man mano che loro due finivano sotto la lente d’ingrandimento, cominciarono a mancarsi. Smisero gradualmente di fare l’amore. Smisero di baciarsi. Smisero di divertirsi e di pensare al futuro.
Una sera Antonella rincasò prima dal lavoro, inaspettatamente, e trovò Fabio a letto con la psicologa dell’ASL. “Insolita terapia” commentò sarcastica. “ E’ per guarir la coppia malata o la sterilità?” Chiese e ottenne la separazione in tempi record.
Il giorno stesso della ratifica dello scioglimento del suo matrimonio, le giunse la notifica dell’idoneità all’adozione. La teneva ancora nel cassetto del comodino, a casa, insieme alla foto dell’ecografia del suo bambino mai nato.
Fabio ora lo sentiva due- tre volte all’anno, per gli auguri di compleanno e Natale.
Non gli aveva raccontato dell’intervento imminente. Era una cosa sua: lui non doveva sapere.
Si era risposato, con una coetanea divorziata con un figlio. Aveva ottenuto ciò che desiderava con altri mezzi. “Per gli uomini è sempre più facile”, si disse.
Antonella si guardò il ventre gonfio, accarezzandolo con tenerezza. Domani l’avrebbero svuotato. Non voleva esser triste. Non si era ancora messa il pigiama e la vestaglia. Pigiama e vestaglia la facevano sentire malata, e triste. E lei voleva essere ancora allegra, e pensare al futuro.
Decise di andare a vedere la nursery. I bambini piccoli mettono allegria, sempre.
Si mescolò alla ressa di parenti col naso schiacciato contro l’acquario.
“ Che belli che sono, vero? Il mio è il numero cinque, con la tutina gialla. C’è anche il suo nipotino, signora? “ un padre colmo di affettuosa tenerezza contagiosa le rivolse la parola. Le spiaceva deluderlo.
“ Complimenti, suo figlio è splendido. La mia nipotina è la numero otto. Quella con la camicia rosa e il ciuffo rossastro. Non è carina?”
 

~ di aliceoltrelospecchio su dicembre 10, 2011.

Una Risposta to “Storia di una donna”

  1. Che bello questo racconto Diana, ma quanta amarezza…più che cmprensibile d’altronde nel tuo personaggio: molto ben delineato.
    Ciao. Buona serata
    Gianluisa

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